LA MEMORIA. SALTFJELLET. NORDLAND. GIORNO # 6

Il Saltfjellet è più di un’area montuosa. Separa il Saltdal, a nord, dall’Helgeland. a sud. Qui passa il circolo polare artico, a 66°33′ Nord. Qui si entra per mai più uscirne in una dimensione che attiene alla luce e alla memoria genetica della Terra, dunque dell’uomo. Qui, furono i tanti campi di prigionieri di guerra che nel 1943 i tedeschi “importarono” dai campi di prigionia

dopo la guerra in Russia. Ottomila. Tutti morti entro la fine della guerra, pietosamente seppelliti prima ma poi “rimossi” nel dopoguerra, discutibilmente, dal governo di Oslo. Tanto che oggi, in alcuni di questi luoghi sperduti nella tundra o tra i monti del Saltdal, si accede se si conosce qualche storico locale capace di svelarti cose impensabili. Ecco, ho voluto cercare un sole all’orizzonte, mentre calava sul monumento ai tanti soldati russi, prigionieri di guerra, ricordati da questa piccola “memoria” che un ufficiale norvegese fece saltare, perché troppo zelante e incapace di rispetto per quei morti, uomini come lui, che avevano costruito la ferrovia polare, la Polar Ban, oggi ancora funzionante. Questo campo di prigionia si chiamava “la ghiacciaia”. Inverni di cinque mesi a meno trenta gradi. Indeboliti, malati, denutriti. Esseri umani. Che importa di quale nazionalità. Per tutto ciò che ho visto, nella terra dei Saami, nella terra dell’uomo che sa adattarsi a un territorio così potente e inafferrabile. Per ricordarci che essere umani, significa non fare queste cose.